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TANTO PER…..PARLARE… l’agguato a Kirkuk a 5 militari Italiani

di Luigi Sparagna

L’agguato di Kirkuk che ha coinvolto 5 militari ed ha comportato per tre di loro ferite gravissime ha inevitabilmente richiamato alla memoria Nassirya, non fosse altro che per la coincidenza quasi perfetta delle date, per la località, il territorio iracheno scenario di conflitti contro il dittatore Saddam, che ha consegnato a tutti scene di guerra come non si vedevano da tempo, forse dai tempi del Vietnam, e che tutti, proprio tutti, ricordo che seguimmo in diretta TV, calamitati dalle immagini verdastre degli infrarossi sul teatro di guerra dove si abbattevano gli ordigni dei caccia. Kirkuk ha fatto scoccare ancora una volta la scintilla dei commenti di quanti sono ostili alle missioni militari all’estero. Nulla di nuovo; chi sostiene lo scarso addestramento dei nostri militari, per esempio rispetto ai soldati USA che non risultano vittime di attacchi come noi Italiani, chi “ironicamente” lamenta che si dovranno pagare altre pensioni profumate alle vittime degli attentati (di ironico ci trovo poco, di disgustoso molto), chi avanza il solito quesito circa le motivazioni della presenza dei militari Italiani in questi teatri, in contrasto con l’art. 11 della Costituzione che chiaramente indica che l’Italia ripudia la guerra. Sorvolo sul fatto delle pensioni alle vittime perché lo trovo talmente idiota da non dedicarci parole. Sull’addestramento dei nostri militari rispetto a quelli USA non mi sento di sostenere una nostra inferiorità. Noi abbiamo reparti di vera e rara eccellenza riconosciuti a livello internazionale, USA compresi, che sono capaci di operazioni complesse e pericolose, senza fare vittime, che altri reparti di altre nazioni, USA in primis, non si preoccupano più di tanto di evitare. L’importante è il conseguimento dell’obiettivo, le vittime sono un rischio calcolato. Gli incursori del Col Moschin (che qualche giornalista ha recentemente scambiato per il nome del Colonnello Comandante del Reparto, mentre è il nome di un Colle – montagna non molto alta-) o i Consubin, esprimono al pari di NOCS (anche se non militari ma sempre reparti speciali) e GIS dei Carabinieri un livello di preparazione che non teme confronti, peraltro confermato in occasione di esercitazioni congiunte dove gli Italiani sono soliti primeggiare. I più curiosi possono navigare in Internet per trovare conferma di quanto asserisco. Passando invece al richiamo alla Costituzione, trovo utile riportare il testo dell’art. 11 che così recita:

L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali;

consente, in condizione di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni;

promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.

Non c’è dubbio, il primo comma riguarda noi, l’Italia, che nei confronti degli altri Paesi privilegia la mediazione piuttosto che la guerra per risolvere le controversie. Il secondo comma stabilisce che, in determinate situazioni internazionali potenzialmente pericolose, sono possibili interventi, di concerto con altri Paesi, volti a indurre condizioni di pace. Il terzo comma rappresenta il coronamento di tale atteggiamento prevedendo di intervenire a creare e sviluppare organizzazioni internazionali per la pace e la giustizia. Per organizzazioni non pensiamo solo alle più note quali l’ONU, alle cui operazioni di pace interveniamo come membri (paganti), ma anche a quegli organismi fatti di forze militari congiunte quali EUROFOR (EUropean Rapid Operational FORce – forza multinazionale europea ad intervento rapido composta da reparti di Francia, Italia, Spagna, Portogallo, che fino al 2012 è stato creato per gestire interventi rapidi in funzione di mantenimento della pace in Europa, ora disciolto), oppure EUROGENDFOR, che dal 2004, con sede a Vicenza, riunisce le forze di gendarmerie europee di Italia, Francia, Portogallo, Paesi Bassi, Romania, Spagna, Polonia, per operazioni congiunte di polizia militare condotte da forze di polizie militari dei Paesi aderenti. Addirittura la Sede di Vicenza è denominata CoESPU (Center of Excellence for Stability Police Units – centro di “eccellenza” per l’addestramento delle forze di polizia per le oprazioni di polizia di stabilità) e provvede, in tale quadro, all’addestramento di forze di polizia di altri Paesi, secondo accordi internazionali che di volta in volta intercorrono. Ecco perché siamo presenti in molti teatri internazionali, e da ciò non possiamo e non dobbiamo sottrarci, pur consapevoli che si tratta di essere presenti in scenari che tranquilli non sono. Altrimenti che ci andremmo a fare? Si vuole contestare che i militari sono favorevoli a queste condizioni di impiego perché guadagnano soldi per la missione all’estero? Ben venga! Rischiano, in contesti ad alta probabilità di pericolo per l’incolumità, quindi è bene pagarli e se rimangono vittime si devono  pagare ancora e pure bene, perché non c’è prezzo per risarcire un giovane di vent’anni che in un attimo si trova dall’essere un “assaltatore” ad uno condannato alla sedia a rotelle (e gli ha detto pure bene). Ma non finisce qui. L’epoca della globalizzazione, e per far piacere a qualcuno uso pure il termine inclusione, comporta necessariamente che le nostre Forze Armate e di Polizia si interfaccino, si pongano in relazione e sappiano interagire con le analoghe forze di altri Paesi unitamente ai quali sono membri delle varie organizzazioni. Le procedure operative devono essere amalgamate, e il territorio Italiano è morfologicamente simile a quello di molti Paesi in cui ci sono crisi in atto. Ecco perché possediamo le abilità operative necessarie. Certo rimango perplesso rispetto al commento della nota giornalista Giuliana Sgrena, a suo tempo (2005) inviata in teatro, e non al Sistina, dove è stata vittima di rapimento e successiva liberazione grazie alla mediazione dei servizi segreti italiani che è costata la vita a Nicola Calipari ucciso addirittura da “fuoco amico”. Sorprende che la Sgrena si chieda perché l’Italia, contrariamente al dettato costituzionale si trovi a Kirkuk. Ci si trova semplicemente per le stesse ragioni per cui era dove lei è stata rapita. Mi sembra di ricordare però che la Sgrena era stata avvisata di non recarsi in una determinata zona perché pericolosa, altamente pericolosa, ma per quanto da lei stessa affermato non si attenne a tali indicazioni facendo di testa sua, e creando così situazione di grave pericolo non solo per sé stessa ma anche per quelle forze militari presenti sul posto, chiamate a scoprire dove e di chi fosse prigioniera. Il suo rilascio è costato la vita a Calipari, fatto fuori da un appartenente all’esercito USA, cioè quello giudicato più bravo degli Italiani perché ha subito meno attentati. Forse i commenti a caldo, in occasione di questo ulteriore nostro contributo doloroso ad oltranza alla pace internazionale, se non per uno sciacallaggio in funzione di visibilità mediatica, sono fatti….”tanto per parlare”. Mi consola la certezza che tali commenti non verranno considerati affatto nelle sedi che contano veramente e che decidono nel rispetto della costituzione e dei conseguenti ineludibili impegni internazionali.