GIUSTIZIA 2020
di Luigi Sparagna
Il 28 gennaio 2020 si è aperto l’anno giudiziario con la relazione introduttiva del Presidente della Corte di Cassazione. Temi affrontati, come ci si poteva aspettare, la crisi della magistratura, e la prescrizione modificata, dal primo gennaio, nel senso che non si applica una volta pronunciata la sentenza di primo grado. Sul fronte della crisi della magistratura, innegabile, è stato ribadito il ruolo di garanzia del CSM assicurato, peraltro, dai decisi interventi del Capo dello Stato che ne è Presidente, ma tutto sommato i successi investigativi di molta parte della magistratura, ed il senso di responsabilità di autorevoli suoi rappresentanti immuni da strumentali politicizzazioni inducono a ottimismo e fiducia. Per quanto riguarda la prescrizione, sia in campo politico che nella stessa magistratura è fonte di dibattito ancora aperto, con toni forti al punto tale che l’analoga cerimonia a Milano ha visto gli avvocati abbandonare l’aula, in contestazione con il giudice D’Avigo, rappresentante del CSM, che aveva stigmatizzato la strategia processuale dilatoria dei difensori in vista del guadagno della prescrizione. Il Presidente della Corte di Cassazione pronunciandosi sullo spinoso argomento, ha sottolineato come la riforma dell’istituto lascia prevedere un incremento dei processi non più soggetti a prescrizione, che andranno a gravare sull’apparato giudiziario per una stima approssimativa di circa 20.000 procedimenti, capaci di intasare il sistema processuale, carente di organici per far fronte al prevedibile maggior carico di lavoro. Da parte dei tecnici, intendendo per essi giuristi e avvocati, viene criticata la riforma poiché ritenuta pregiudizio del principio che vuole tutti i cittadini uguali davanti alla legge. Tale indiscutibile principio, congiuntamente a quello della presunzione di innocenza fino a sentenza definitiva (…a conclusione dei tre gradi) induce ad un ragionamento di oggettiva validità. Si avrebbero infatti imputati, presunti innocenti, mai giunti a sentenza di primo grado, che avrebbero la possibilità di beneficiare della prescrizione, come nelle ipotesi di corruzione che ne fissa i termini in cinque anni, liberi quindi da ogni attesa processuale entro tale tempo; altri che per lo stesso reato, seppur giudicati colpevoli in primo grado e pertanto non destinatari di prescrizione, ma pur sempre presunti innocenti, dovrebbero affrontare i rimanenti gradi del giudizio, a volte lunghissimo, e magari essere assolti alla fine del calvario processuale. Si avrebbero due innocenti, non uguali rispetto alla legge, anche solo per una questione di tempo(ndr). Se poi il condannato in primo grado tale rimane nei gradi successivi, e chi ha avuto mercè le manovre dilatorie dei difensori la possibilità di incassare una prescrizione evitando il primo grado, pur in evidenza di colpevolezza in fase di indagini preliminari, il principio di uguaglianza davanti alla legge è ugualmente infranto. E’ prevedibile il confronto scontro proprio incentrato su questa realtà che attiene alla filosofia del diritto certamente, ma dietro le quinte del puro disquisire si profila una realtà processuale che ad oggi aggirerebbe l’ostacolo degli strateghi dell’assoluzione senza giudizio. Perciò riportiamoci all’affermazione inaugurazione durante, che prevede e preannuncia, con preoccupazione, un incremento dei processi (20.000) che incideranno sulla durata degli stessi e sulla possibilità di smaltirli. Detta così si potrebbe percepire, forse ingiustamente, che la vera doglianza non è sulle ragioni del diritto ovvero sulla voglia di assicurare giustizia, ma di natura meramente pratica per l’incremento del lavoro che graverà sull’intero apparato giudiziario. Sforzandosi di non cedere a malizia, le dichiarazioni di D’Avigo sulle strategie dilatorie, vista l’autorevolezza e l’esperienza della fonte, non aiutano a fugare i dubbi sulla voglia di raccogliere l’invito della politica a velocizzare i processi. L’alterazione dei ritmi di lavoro forse preoccupa? Evitiamo di cedere a tale immeritevole considerazione visto che la soluzione prospettata e già sentita, che mette d’accordo tutti, politici e magistratura, è una riforma strutturale dell’intero apparato giustizia, piuttosto che provvedimenti isolati. Ben venga! Chi meglio dei rappresentanti della giustizia è in grado di esprimere autorevoli linee guida per i politici che devono attuare il rinnovamento del sistema? Lanciare grida d’allarme forse non basta. Cosa si aspetta a scendere in campo?