L’ITALIA SIAMO NOI (atto quinto)
di Luigi Sparagna
Siamo giunti così al quinto appuntamento con il commento sul tema Coronavirus. Teniamo il conto per memoria perché non è dato immaginare a che numero arriveremo. Non si parla di altro in questo periodo, anche perché non c’è molto da parlare, l’Italia è ferma, non succede nulla, tutti siamo con le orecchie tese ai bollettini giornalieri sull’andamento della Pandemia, e come il genitore gioca col bambino a fargli dondolare innanzi agli occhi la pallina colorata verso la quale il pupo protende le manine per poterla afferrare e giocarci, innanzi ai nostri occhi dondolano i paesaggi noti e gli scenari più golosi delle ferie estive, verso cui tutti stiamo protendendo le nostre mani ma con timidezza per evitare che il sogno si infranga. Ci siamo scottati con l’acqua calda e abbiamo ragione di aver paura. Quando è cominciata questa sventura, siamo stati sapientemente inoculati con crescenti divieti, partiti come consigli del tipo lavatevi le mani che basta per evitare il contagio, a chiudetevi in casa che la cosa è seria. Insomma questo virus che veniva descritto come meno pericoloso di quello dell’influenza oggi è giudicato come dieci volte più aggressivo di quello della detta influenza. Se esci di casa affronti il 41 bis e piovono multe spropositate. Fiducia sulle vacanze estive mi sembra un azzardo, anche perché il reddito degli Italiani sta subendo gravi danni. E togli le vacanze agli Italiani te li sei fatti nemici. Abbiamo a mio avviso già abbattuto ogni record di resilienza e speriamo di non cedere da qui a breve, incoraggiati dalla constatazione che i contagi si sono trasferiti gradualmente dal nord alla Sicilia, quindi dovrebbe aver finito il suo viaggio. Ma potrebbe sempre tornare indietro. I dati statistici si comportano come un funambolo, che procede a tratti sul filo con un timido passo avanti e mezzo indietro, in modo francamente estenuante. I decessi non incidono sul numero dei contagi in atto, si tratta di contagi già avvenuti, quello che ci fornisce la misura della fine dell’emergenza è la constatazione che cessano i contagi. Ma da questo sembra siamo ancora un attimo lontani. Ci eravamo illusi di essere giunti al pianoro del picco e stavamo per pregustare la discesa verso la fine della contaminazione, con prudenza ma con fiducia, ma i contagiati ogni giorno variano e non in meno e con l’aggiunta, ecco partire con nuovo vigore il problema delle RSA, milanesi in primo luogo ma un po’ dovunque, che riapre il meccanismo della ricerca e tracciabilità dei possibili momenti di diffusione del Covid 19 tra parenti e addetti ai lavori. Chiunque interpreta i dati lo fa in modo diverso, c’è chi dice che stiamo scendendo e chi sostiene che siamo fermi al pianoro. E’ strano questo virus che almeno per quello che ci viene partecipato non pare abbia contagiato i numerosi lavoratori extracomunitari presenti nel settore agricolo da nord a sud del Paese. Gli studi scientifici si aggiornano di continuo e descrivono il virus come una bestia nera dalla quale si può guarire ma i sanitari troppo spesso registrano insuccessi. Dopo i primi infetti guariti allo Spallanzani – i due coniugi cinesi – accusiamo il dolore dei decessi e non festeggiamo altrettante guarigioni. Timidamente, l’area della Lombardia e del Piemonte sembrano essere state l’epicentro di una malattia mal gestita dai primi momenti, e addirittura molte sono le vittime tra i sanitari ospedalieri. Colpisce vedere che al Cotugno di Napoli non si sono verificati contagi tra medici ed infermieri, che per accedere ai reparti hanno creato una zona vestizione in cui ognuno è assistito da un altro addetto, in condizioni di ambiente sterile, e la vestizione rassomiglia a quella degli astronauti che vanno nello spazio. Ci sarà pure un perché se al Cotugno fino ad ora sono tutti salvi. Ora siamo sicuramente nella fase due, cioè quella della conta dei danni e della ricetta per la ripresa economica, perché la situazione si intuisce sicuramente grave, senza tanti giri di parole. La ricetta adesso è solo politica e francamente la velata e garbata querelle tra qualche Governatore Regionale e il Governo Centrale, per esso leggasi il Premier Conte, che ancora si trascina, è il caso che si superi possibilmente a piè pari per trovare ricette giuste. Non si tratta di accordare una cassa integrazione a un polo industriale, si tratta di risolvere una crisi economica di portata veramente profonda dell’intero Paese, che non merita lacci e lacciuoli della burocrazia feroce di cui siamo capaci e maestri. Sono certo che appena saranno mollati gli ormeggi che tengono ancorata la nostra barca in porto, gli Italiani sapranno navigare a gonfie vele verso la ripresa, ma questi ormeggi vanno mollati, e le cime non le devono manovrare solo marinai Italiani ma Europei, e se questi ultimi non ci stanno, auspico che la nostra classe politica abbia il coraggio – e la competenza – per fare anche da sola, con determinazione, la parte che gli compete. Non basta solo salire sulla nave di una certa Rackete, Tedesca, per garantirsi la simpatia germanica. Noi siamo un popolo, tra l’altro, di navigatori, come è stato scritto a caratteri cubitali sui palazzi monumentali della nostra Capitale. Allora diamoci una mossa…seria, la nostra economia, e quindi la nostra sopravvivenza lo richiede. Basta pensare a prestare soldi che poi devono essere restituiti a condizioni capestro. Qui non si tratta di mala gestione, ma di mala sorte, e la sorte è uguale per tutti.
L’Italia siamo noi.