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L’ITALIA SIAMO NOI (atto settimo)

di Luigi Sparagna

Non so se in uno sceneggiato si raggiunga la misura di sette atti, ma in una guerra le battaglie possono essere certamente sette e più di sette. Nella nostra guerra al Coronavirus spero, però, non si debba giungere alla decina. I dati statistici sull’andamento della pandemia cominciano ad essere confortanti e abbiamo i primi segnali del ritorno alla vita a cui eravamo abituati. Il 27 aprile, per esempio e tanto per fare dell’ironia che a volte non guasta per sdrammatizzare, a Napoli un commando di zingari ha provato a scassinare un bancomat, e nel corso della fuga a bordo di una potente vettura non ha esitato a scontrarsi con la “pantera” della Polizia uccidendo l’Agente Pasquale Apicella. E’ incredibile, il primo segnale del ritorno alla normalità è un atto criminale, commesso da zingari, che il perbenismo demagogico appella diversamente, e francamente me ne sfugge la ragione, ma il termine è correttissimo a giudicare dal dizionario Treccani che alla voce “zingaro” indica: “ s. m. (f. -a) a. Appartenente al gruppo etnico degli Zingari, che, dalla propria sede originaria nell’India nord-occid., si diffuse tra il 10° e il 16° sec. in Europa e nell’Africa settentr., conservando le tradizioni di vita nomade in carri e accampamenti, e di attività non fisse come il commercio di cavalli, la lavorazione e riparazione di oggetti di rame, la musica ambulante, la chiromanzia e l’accattonaggio: una tribù, un accampamento, un carro di zingari; uno z. suonatore di violino, una z. abilissima nel predire il futuro.”. Anche nel vicino comune di Sora, in pieno divieto di uscire da casa, si sono resi protagonisti di una corsa di cavalli interrotta dalle forze dell’ordine, a testimoniare, ove mai ve ne fosse bisogno, del tracotante costume di violare la legge. Hanno addirittura perso la caratteristica del nomadismo. Usufruiscono delle essenziali forme assistenziali quali quella sanitaria, costituzionalmente riconosciuta, ma siccome il loro status si trascina dietro anche il diritto al voto elettorale, forse è per questo che alcuni si guardano bene dall’appellarli zingari. Ma questa è un’altra storia di cui magari un giorno parleremo. Tornando alla nostra pandemia. Sembra giunto il momento di poter aspirare a una vita normale, ma sempre con la prudenza che le circostanze richiedono per evitare una ricaduta nel contagio come nella prima fase. Credo che gli Italiani siano oramai ben orientati ed allenati, oltre che impauriti, tanto da fare ben sperare. Nessuno si offenderà se ancora per qualche tempo ci saluteremo “romanamente”, che non è apologia ma prudenza sanitaria, o se non ci abbracceremo come facevamo prima di Covid 19. Formulo ai nonni i migliori auguri che nel recupero affettivo coi nipotini non eccedano, perché i piccoli pargoli pur nella loro innocenza possono essere portatori asintomatici potenzialmente causa di stragi familiari. Dal 4 maggio quindi prove generali di vita normale. Rimane il grave problema delle conseguenze economiche che questo periodo ci ha inflitto. Non è pensabile il proseguire di una serrata delle attività produttive, tutte e nessuna esclusa, e nemmeno sembra possibile, a mio sommesso avviso, che pure in caso di una leggera ripresa dei contagi dovuta all’apertura dei recinti che ci hanno custodito fino a questo momento, si possa immaginare di ripiombare le aziende, industrie, attività commerciali nello stop ai lavori. Il Paese non reggerebbe, tanto vale affrontare il rischio della malattia. In fin dei conti ogni guerra ha le sue vittime, preventivate, messe in conto. La politica adesso deve dimostrare cosa è capace di fare, e stando a quel che è dato vedere, ad esempio nel corso dell’audizione parlamentare di Conte del 30 aprile, non mi pare ci siano le premesse per una partecipata e costruttiva azione di governo improntata alla coralità parlamentare, sbandierata da più parti apertamente dichiaratesi deluse ed irritate per la condotta del Premier. Forse che la democrazia sta svelando la sua vera natura? A sentire le varie accuse dei gruppi parlamentari, più che di democrazia sembra farsi strada un concetto di democrazia dittatoriale o dittatura democratizzata. Termini sicuramente di fantasia, ma se si accusa il Premier di fare da solo senza le Camere, che nulla oppongono o riescono ad opporre con i metodi parlamentari, dobbiamo prendere atto che c’è uno che comanda e gli altri stanno al palo. E non è democrazia dittatoriale o dittatura democratizzata? Le accuse oggi rivolte a Conte sono le stesse già sentite in passato rivolte ad altri Premier, a prescindere dal loro orientamento politico. Chi era di destra o centro – destra  se le vedeva rivolte dalla sinistra e viceversa, tanto per non dispiacere nessuno. Allora mi chiedo, possiamo sperare nel senso di responsabilità di chi si è programmato il suo futuro come nostro rappresentante sui gloriosi scranni della Democrazia, quella vera? Come è possibile, mi chiedo, che le opposizioni chiedano al governo di rassegnare le dimissioni per andare alle urne sperando di ribaltare i ruoli di protagonisti e gregari? Non vi sono proprio altri mezzi? Ma quando ciò è avvenuto, il risultato non è cambiato, tanto che qualche malpensante, nel tempo, ha avanzato il sospetto che si tratti di un gioco per alternarsi tutti alla possibilità di incassare una pensione da parlamentare, ruotando alla guida del Paese da buoni amici. Non ci voglio credere, e perciò confido che tutti, da qualunque sedia dell’emiciclo, si gettino con passione e con competenza soprattutto a contribuire con idee e fatti a risolvere i problemi. E ne abbiamo tanti, perché non dobbiamo dimenticare che la pandemia ha messo a nudo le criticità di un sistema sanitario inadeguato già di suo per l’ordinario, e non si può buttare tutto all’aria una volta finita l’emergenza e ricominciare come prima ad avere una sanità devastata da scelte di amministrazione demandate a inadeguati e impreparati nonché improvvisati manager, che puntualmente sviliscono la professionalità dei medici e personale sanitario che oggi, grazie al Coronavirus si sono conquistati un posto in Paradiso, pertanto non c’è dubbio che se qualcosa andrà male nella sanità da domani in poi, la colpa non è la loro. Forse se fossi in Conte aprirei le Chiese, almeno in molti potranno andare a farsi un esame di coscienza, e dovendo adottare misure di sicurezza, riserverei, come a teatro, i migliori posti di platea ai nostri rappresentanti politici, in linea con quanto raccomandato dal Santo Padre agli amministratori……di non perdere di vista l’uomo e la sua dignità.

L’Italia siamo noi.