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LA CASTA E IL MALANDRINO

di Luigi Sparagna 

E’ appena stato inaugurato l’anno giudiziario e Giletti ospita nella sua trasmissione quel tal Palamara, magistrato (ndr. con la m minuscola) che insieme al giornalista Sallusti scrive e pubblica un libro per rivelare la vera storia del suo caso e parlare della crisi della magistratura. Mi incuriosisco, non posso resistere, invece del film su Netflix, seguo la puntata. Palamara si propone come colui che intende chiarire la sua posizione di uomo e magistrato che ha svolto il suo incarico in seno alla magistratura con assoluta dedizione alla missione e alla toga che gli è particolarmente cara. Si rivernicia insomma per ridare lucentezza alla sua persona, sacrificata dalla casta che funziona in un certo modo. Spiega che le varie correnti (di magistrati) agiscono in maniera da proporre negli incarichi più prestigiosi e di potere quei magistrati che aderiscono alla corrente, e a volte quando ci sono processi particolarmente delicati che interessano alla parte politica di riferimento della corrente, il tam tam delle nomine si fa più stringente. Il sistema, così lo chiama Palamara, funziona in questo modo, e ora che a Palamara tocca farne le spese si è deciso a rivelare le dinamiche della casta di appartenenza. Non meritocrazia dunque, ma spartizione di posti e ricerca di potere. Come non bastasse, e comunque a conferma di ciò. Viene riproposta una intercettazione tra Palamara e un Procuratore della Repubblica che esprimeva perplessità sulla incriminazione di Salvini da parte della Procura di Agrigento, sia per competenza territoriale di quest’ultima sia perché il fumus dell’agire criminale di Salvini era appunto fumus e nient’altro. Palamara, in diretta conferma di aver commentato il fatto ritenendo vera la non colpevolezza di Salvini e l’ingerenza della Procura di Agrigento, ma il momento storico, anzi politico, richiedeva di colpevolizzare Salvini a prescindere. Salvini interviene in diretta telefonica e riceve le scuse di Palamara, questo tanto per concludere la cronistoria dell’intervista. Il commento? A parte le numerose oscenità concettuali blaterate dal Palamara, che ricordo a me stesso fu pubblicamente sbeffeggiato dal Presidente Emerito Cossiga, non posso sopportare, senza un forte disgusto, la recita dell’uomo e professionista ferito dal tradimento da parte della sua categoria, ingrata con il fedele uomo del sistema. Ora si pente (?) e viene a giustificarsi svelando le sconcezze di una casta, come egli stesso l’ha definita, ma nella cui putrida acqua ha nuotato per anni, felice come un salmone, tronfio del suo ruolo di potere. Ulteriori commenti su questo personaggio ritengo superflui, mi soffermo ancora un attimo per sostenere che se non si condividono metodi ed abitudini della propria organizzazione bisogna impegnarsi per cambiarli, ma quando si è parte dell’organizzazione, non quando se ne è stati cacciati. Altro che scrivere libri, che se non fosse per Sallusti che con la penna ha dimestichezza dubito, a sentirlo parlare, avrebbe saputo scrivere di suo pugno. Lo scoramento ci aggredisce, la pelle si accappona a sentire il racconto di Palamara. I magistrati che tanto avrebbero da fare in Italia sono impegnati a confrontarsi nella spartizione della torta con le magliette della corrente di appartenenza. Invece di avere la toga, simbolo di imparziale condizione mentale necessaria per giudicare gli altri, indossano, come una primaverile, una casacchina coi colori della squadra, ogni squadra col simbolo del partito politico di riferimanto. Ma a sentire Palamara, e le intercettazioni che non solo Lui hanno riguardato, esempio per tutti la donna magistrato di Palermo che affidava incarichi per centinaia di migliaia di Euro a suoi amici e figli degli amici (scomparsa nel nulla del dimenticatoio), più che una casta sembra una Banda Bassotti, per prendere a riferimento un gruppetto di simpatici malavitosi rubagalline peraltro sfortunati, che se non accettiamo il paragone, allora rischiamo di fare parallelismi con compagini di più seria caratura criminale. Certo che usare il Trojan nei confronti di un magistrato è roba forte! Certo che a sentire Palamara questi girano di notte col mantello (per rispetto formale della toga) a farsi battaglia gli uni contro gli altri per mera sete di potere, che poi si traduce in forti guadagni. Tutti sarebbero consapevoli della situazione, si aprono dibattiti e confronti interni per immaginare soluzioni che riportino il merito al centro della esistenza stessa della magistratura, che avverte il bisogno di un aggiornamento anche delle procedure per rendere compatibili le durate dei processi con l’esigenza di giustizia, e non se ne cava un ragno dal buco. Alla faccia di queste menti eccelse che ogni giorno fanno onestamente il loro lavoro. Il quadro è:  da una parte i malandrini, dall’altra i missionari, fieri della loro indipendenza, ma inaffidabili per la spartizione della torta più golosa. E pure a questi mi sentirei di dire che dovrebbero insorgere per tutelare la loro funzione, ma forse hanno capito che è cosa inutile. Dopo la puntata di Giletti, il Paggetto Palamara fa venire il sospetto che la scritta “la legge è uguale per tutti” che campeggia nelle aule dove si somministra la giustizia, inizierà a sanguinare, al pari delle varie Madonne miracolose che di tanto in tanto sono apparse in giro, e da molto tempo invece non piangono più. Avranno finito le lacrime!