La Lettura – P. Roth: Lamento di Portnoy
Prendete un ebreo americano di trentatré anni, erotomane e nevrotico, e posizionatelo sul lettino dello psicanalista: così ha inizio il più audace, delirante e famoso monologo della letteratura americana del secolo scorso. La confessione-fiume di Alex Portnoy è un susseguirsi incessante di immagini divertenti e scabrose, ricordi più o meno netti, in cui il protagonista ripercorre i suoi tentativi di fuga dalla cultura ebraica attraverso la ricerca del proibito; l’ossessione per il sesso sin dalla tenera età che lo ha portato a instaurare una serie di relazioni problematiche con le “shikse” (le donne non ebree); il conflitto con l’ambiente familiare in cui è cresciuto e in particolare con la madre, una figura ingombrante e iperprotettiva. Tutto, nella sua vita, da quella cultura dell’apparire e del perbenismo tipicamente americani che impone a un professionista affermato come lui di tenere a bada le più intime pulsioni, di aborrire anche i sogni più inconfessabili. Philip Roth, premio Pulitzer nel 1997 per “Pastorale Americana”, uno degli scrittori più amati dai lettori di tutto il mondo, ci ha regalato un personaggio, , capace di suscitare giudizi contrastanti, certo, ma soprattutto una sconfinata tenerezza ed empatia verso le fragilità di un uomo del suo tempo. Di ogni tempo.