Gli spazi vuoti
In un mondo dove, da circa tre mesi, tutti i fatti e le discussioni (sociali, politiche, economiche) ruotano sul doppio asse della cura della malattia e della ricerca del vaccino per il Covid-19, la vita – rinchiusa nelle case – va in scena in forma privata.
L’umanità avverte sotto la pelle la paura del contagio ed ha paura, il mondo nelle strade si ferma, ma lo stop non impedisce di pensare al futuro dopo la disavventura.
E’ buio e vuoto, un mondo senza futuro; facendo previsioni, con le persone con cui si parla, spesso quello che si sente è l’attesa del “ritorno alla normalità”.
Questa desiderata “normalità” è un ritorno al passato recente, in cui l’esistenza scorreva con un metabolismo che oggi, col senno del poi, appare ottimale; giornate scandite dal percorso casa-lavoro (palestra, teatro, chiesa, parco: quello che si preferisce), con flussi emotivi che scorrevano in canali consolidati; la vita delle abitudini.
E pensare che quella normalità spesso “andava stretta”.
Ho cari amici avvocati che hanno sempre più desiderio di tornare nelle aule di giustizia, ai dibattiti che si fanno in tribunale, agli incontri e alle dispute nei corridoi stretti e affollati.
Discorsi seri e non, ragioni giuridiche e futili, gesti amichevoli e formule ostili.
Sebbene i protocolli dell’emergenza consentano udienze telematiche e colloqui a distanza, ci si aspetta che medici e scienziati, impegnati contro la diffusione del virus, riescano nella missione filantropica, garantendo il ritorno alle macchine procedurali, allo studio, ai testi di legge, ai processi: strumenti inanimati di una passione millenaria.
L’orizzonte pratico di chi è nell’avvocatura affonda lentamente nel silenzio delle aule deserte. Veniamo al clou.
Il passato recente non è caduto in desuetudine (dopo soli 3 mesi non potrebbe essere altrimenti) anzi è più vivo che mai; nell’insopportabile (a volte) immobilismo delle giornate, aspettare di rivivere in un vicino futuro la vita passata ormai equivale, per tante persone, ad attendere la “premiere” di uno spettacolo (stavolta) perfetto. Sarà una visione felice? Lo spero.
Noi siamo le nostre radici, disse qualcuno; ci sono mille parole, per indicare queste radici; provo a dirne qualcuna; “comunità”, “affetti”, “tradizione”, “libertà”, “giustizia”, “storia”, “cultura”, “valori”, “solidarietà”, “compassione”, “pace”.
Sarà un ritorno alle vecchie radici, o ne nasceranno di nuove?
Ci vorrebbe una lanterna davvero “magica” per proiettare un’immagine del prossimo futuro che non sia illusione, sogno o – al contrario – drammatica rassegnazione, specie per chi dal Covid-19 uscirà sconfitto.
Niente sembra più trionfale dell’atteso “lieto fine”.
Giancarlo Corsetti, avvocato