Fabrizio Zompi, il servitore dello Stato: il ricordo del generale Sparagna
di Luigi Sparagna
Una volante della Polizia di Stato mi viene incontro, scendono i due occupanti, due Poliziotti perfettamente identici. Uniforme indossata in modo impeccabile, fiero ed orgoglioso di chi è perfettamente consapevole di rappresentare qualcosa di importante per la società. Sorriso rassicurante, veramente belli da vedere. Sono Fabrizio e Marco Zompi in ordine strettamente alfabetico, perché altro non si potrebbe tanto sono uguali. Certo, sono gemelli, ma mai madre natura gli aveva fatti così terribilmente uguali, e certamente non è stata madre natura, ma merito loro, a far sì che si esprimessero in modo identico con gli stessi vocaboli, le stesse espressioni, manifestando gli stessi sentimenti, lo stesso animo, gli stessi interessi. Mi salutano sempre quando mi incontrano, sono stati alunni di mio padre alle scuole elementari, e me lo ricordano sempre. In pratica li ho conosciuti quando avevano circa dieci anni, qualcosa in meno e non in più. Li incontro oggi, uomini fatti, coi quali è piacevole parlare, intrattenersi a discutere di qualunque cosa, di qualunque argomento per accorgersi che non sono persone comuni. Entusiasti, desiderosi di percorrere tutte le strade della cultura possibili, educati in una maniera che può sembrare antica, rara oggi a trovarsi in giovani distratti da un veloce relazionarsi che esclude il confronto diretto, preferendo le frasi scritte in un post che però non hanno la luce degli sguardi e il tono gradevole della voce e il sorriso di Fabrizio e Marco. Abbiamo immaginato di scrivere un testo sul nostro Paese, su Pontecorvo, amato da entrambi i fratelli Zompi, e di cui in particolare Fabrizio aveva raccolto documenti fotografici e non solo, testimonianze di ogni genere della nostra storia, andando per questo orgoglioso in una maniera che azzardo a dire faceva tenerezza ascoltandone le descrizioni in un uomo di poco più di cinquant’anni che ne parlava e sembrava invece quel bambino scolaretto di mio padre desideroso di sentirsi dire bravo. Non abbiamo fatto in tempo a scriverlo quel libro, Fabrizio ci ha lasciati. Solo la malattia poteva vincerlo, e lo ha fatto, crudelmente, senza rispetto per l’uomo che doveva ancora avere tanto dalla vita, ed era giusto che così fosse, senza rispetto per l’uomo che ancora doveva dare tanto ai suoi cari innanzi tutto, ma a tutti noi anche, ed era giusto che così fosse. La malattia ci ha imposto di arrenderci. Ora è il momento del dolore. Nel volto e nelle lacrime di Marco c’è tutta la consapevolezza di una tragedia, neppure per un momento possiamo paragonarci a lui nel dolore, per il rispetto che dobbiamo a Marco e per l’affetto che ci lega a Fabrizio, uomo onesto, leale, sincero, gioioso, che si è meritato il suo “bravo”, esempio che lascia una testimonianza di valori che ora cercheremo di vivere con lui e per lui sicuramente insieme a Marco. Non moriamo mai veramente fin quando siamo nei ricordi di chi ancora vive. Non faremo morire veramente Fabrizio.